Teatro

Gli idoli di una bella famiglia italiana

Gli idoli di una bella famiglia italiana

La famiglia è da sempre il teatro di piccoli e grandi crimini. La cronaca recente ci insegna che spesso è proprio nel microcosmo casalingo che si perpetrano le nefandezze più immorali, in quanto è lì che nasce la prima cellula della società, ed è lì che si sperimentano i rapporti con l’altro, spesso in maniera coatta e  pertanto insofferente. Denaro, dipendenza dal virtuale, sesso, consumismo, violenza e tant’altro condizionano la vita di milioni di persone fino a portarli, spesso, a gesti estremi e fuorvianti, ed è quello che accade ai protagonisti di “Idoli” che la compagnia “Carrozzeria di Orfeo”porta in scena con l’ interessante ed accattivante piglio poetico che li contraddistingue,  come abbiamo imparato ad amare con lo straordinario “Nuvole barocche”. Si  parte dal raccontare i rapporti all’interno di un appartamento di una tipica famiglia borghese italiana, genitori, figlio e nonno, per analizzare e denunciare i mali che affliggono una società, la nostra, sempre più attratta da idoli malati, e lo si fa con un linguaggio apparentemente semplice, con un tono che fa intravedere un’aria di commedia ma che non può non trasformarsi in tragedia grottesca. Ottima l’interpretazione di tutto il gruppo, a cui fa capo il bravissimo Gabriele De Luca, autore sia della drammaturgia che di una regia firmata a sei mani con Massimiliano Setti ed  Alessandro Tedeschi, attori anch’essi di ottimo lignaggio, a cui si aggiunge una coppia di bravissime attrici quali Valentina Picello e Giulia Maulucci. La drammaturgia di “Idoli” rimanda ai grandi autori del ‘900 che hanno affrontato con il dramma familiare i grandi temi della società contemporanea, riporta nel linguaggio minimale alla letteratura che negli anni ’80 del secolo scorso ci ha fatto conoscere una generazione di bravissimi drammaturghi quali Mamet e Ruccello, ricorda i temi dei grandi registi italiani quali Germi e Monicelli, maestri nel trattare il grottesco dramma familiare. Ed è proprio la semplicità espressiva di Di Luca che crea il corto circuito fra realtà e drammaturgia, che porta lo spettatore ad un’identificazione che poi diventa tragica, inevitabile, autodenuncia. Ancora una volta, quindi, crediamo nel lavoro di questa compagnia che lodiamo per come riesca ad arrivare alla mente ed al cuore senza artifizi o mistificazioni.